La compassione è la più importante e forse l’unica legge di vita dell’umanità intera.
Fëdor Dostoevskij
Ho scoperto, prendendomi cura della psiche degli esseri umani, che uno dei deficit maggiori che viene lamentato è la compassione. Una paziente qualche giorno fa mi disse: “ che bello parlare con te, qualunque cosa io combini non mi dici che sono stupida o maldestra, mi dici solo – benvenuta nel mio mondo – , è come sentirsi accolti in un grande abbraccio. Queste parole, che potevano suonare come una forma smaccata di adulazione mi hanno portato a riflettere, anche perché non ha molto senso essere troppo accondiscendenti con il proprio psicologo, e quando questo accade c’è qualcosa che non quadra – ma per questo vi rimando al capitolo “cose che uno psicologo non deve mai fare” (non affannatevi a cercarlo, non l’ho ancora scritto) .
Quindi mi sono chiesta: che cosa faceva la differenza?
Dove si trovava quel “grande abbraccio” che nella mia personalità, un poco autistica, sono decisamente parca ad elargire?
Poi ho compreso: ogni volta che mi trovo di fronte qualcuno che ha talmente tanto coraggio da affrontare i propri fantasmi , io mi sento così grata, così onorata, che il mio cuore si apre sospendendo la ratio e di conseguenza qualsiasi giudizio.
Pare sia raro non sentirsi giudicati: non ci avevo mai fatto caso, poiché come una cibernauta, attraverso rapita dai pensieri altrui questa valle di lacrime. Sono state le parole disperate che gli altri hanno voluto donarmi ad aprirmi gli occhi nei confronti di questa problematica poiché sono sempre stata il mio unico censore, dotata sì di catoniana tenacia ma obnubilata dalla limitatezza di un solo punto di vista. Con lo stupore dei bambini ed il rewind di un savant ho ricordato i vari: “mia madre mi ha detto che l’ho delusa” , “per mio padre quello che faccio non va mai abbastanza bene”, “la mia ragazza mi considera un debole”, giudizi, giudizi, decine di giudizi feroci come ferite infette.
Quanto dolore in quei cuori sottoposti a giudizio, condannati e mai perdonati.
Quanto malessere.
Quanto buio.
Ed allora ho voluto dedicare loro questo scritto, un tributo alla solitudine di chi si sente condannato senza via di uscita. Provare compassione significa provare la passione dell’Altro; a volte in psicologia usiamo il termine empatia, ma suona troppo new age, io preferisco la tracotanza del latino. Cum Passio. Solo così possiamo essere certi di quello che accade all’Altro, tutto il resto è giudizio, anche quando non ce ne accorgiamo. Anche quando siamo benevoli, anche quando ci sentiamo così buoni da sembrare quasi Santi.
Come dice Schopenhauer “L’amore autentico è sempre compassione; e ogni amore che non sia compassione è egoismo.” Questa definizione ci spiega più di mille esaustive teorie sociologiche come mai i matrimoni non superino troppo spesso il primo anno di vita.
Terminata la tempesta biologica che la natura ha voluto donarci per garantire la prosecuzione della specie, quella cosa così sublime quanto effimera che noi chiamiamo innamoramento, ci ritroviamo con un compagno che reincarna tutto ciò che noi non siamo – altrimenti non lo avremmo scelto – tutto quello che mamma e papà ci hanno insegnato a detestare – altrimenti non sarebbe stato così attraente – e questo, come una doccia fredda, ci risveglia, abili menestrelli che cantano canzoni stonate in un mondo un po’ sordo e magari troppo distratto.
La Compassione è la Legge delle Leggi, Armonia Eterna, un’Essenza Universale sconfinata, Luce della Giustizia perenne, congruenza di tutte le cose, la legge dell’Amore EternoH. P. Blavatsky